Prima del Vajont: la scomparsa di Arcangelo Tiziani

Questa è una delle tante, tantissime parti di una storia.
Una storia alimentata da soldi, poteri forti e irresponsabilità.
Sarebbe semplice etichettare questi fatti come una classica “storia italiana”, ma non è il caso di farlo.
Perché classificare un popolo intero per le scelte di pochi è indegno nei confronti di chi, quelle scelte, le ha subite.

Episodio 1

Un sinistro presagio


Morirono in migliaia, interi paesi vennero spazzati via, culture e tradizioni vennero sepolte da milioni di metri cubi di acqua, terra, rocce e fango.
Annientati dall’ingordigia e dalla superbia che, in una notte di ottobre di 60 anni fa, si manifestarono sotto forma di una gigantesca ondata che sconvolse non solo l’Italia, ma il mondo intero.

Non un disastro, non una catastrofe naturale, no. Niente di tutto questo.
Tina Merlin – giornalista dell’epoca – parla di olocausto, il termine corretto per degli eventi che gridano allo scandalo e trasudano la più lurida delle vergogne.
Oggi quelle ferite sono cicatrici indelebili, ancora aperte e che mai potranno essere taciute.Il silenzio assordante del disastro del Vajont rappresenta l’epicentro di brogli, omertà e disinteresse che fecero collassare una gigantesca frana nell’omonimo bacino idroelettrico.

Ma questa non è la storia di quella sera.
È la storia di un’altra frana e di un’altra diga.
A collegarla con quella del monte Toc e alla diga del Vajont, ci sono circa 20 chilometri di distanza, la stessa società – la SADE (società adriatica di elettricità) – proprietaria di ambedue gli impianti e un sinistro presagio verificatosi il 22 marzo 1959.

Episodio 2

Le ombre di Pontesei

Arcangelo Tiziani nasce e cresce in un territorio povero, dove una stretta vallata si allarga – quel tanto che basta – per lasciare a Forno di Zoldo lo spazio di respirare.
Arcangelo è un bambino di tanti – ma non troppi – anni fa.
Classe 1907, nato 708 giorni dopo la costituzione della SADE di cui diventerà operaio.
Abituati a diventare grandi tra boschi e pascoli, spaccando legno e mungendo il bestiame.
Arcangelo si fa in quattro all’ombra delle montagne di casa.
E’ abituato, fin da piccolo, a rispettarle.
Ne conosce la bellezza, ogni giorno è un gioioso spettatore della loro maestosità.
Ma come gli hanno insegnato i grandi, quelle montagne a volte sono imprevedibili.
Nei giorni di brutto tempo i paesaggi cambiano connotati, mutano completamente.
I prati che si staccano dai boschi fin sulla roccia nuda, scompaiono tra le nuvole che urlano tempesta. Il grigiore cala il suo telo scuro sulla vallata, offuscando ogni riferimento.
Al fragore dei tuoni non si vorrebbe essere lassù, a correre alla ricerca di un riparo mentre i fulmini illuminano i versanti. Venne assunto come operaio, carpentiere e nella mattina del 22 marzo 1959 come guardiano della diga.
Era una giornata strana, una domenica strana.
Fessure nel terreno, rumori sordi, acque strane con rigagnoli giallastri.
Tutto faceva presagire a una frana.

Episodio 3

La frana del 22 marzo 1959



Arcangelo aveva appena sorpassato la passerella, quando un “CRACK” improvviso attirò la sua attenzione.
Si girò verso l’invaso e un rumore profondo, sempre più forte, sempre più vicino, come un treno in corsa annunciò la frana.
Erano le 7 del mattino del 22 marzo 1959.
Sulla sinistra dell’invaso si staccò una porzione di montagna che si lanciò verso il basso.
All’impatto con l’acqua – nonostante il livello del serbatoio fosse ben al di sotto della portata massima – si generò un’ondata alta 20 metri.
Arcangelo venne completamente colto alla sprovvista.
Non si sarebbe mai aspettato un evento del genere.
L’onda lo prese con sè.


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